| La sabbia si alzava a piccoli turbini, mentre il vento spazzava l’ampia landa desolata. Era tutto sui toni dell’ocra-arancio, il sole a picco rendeva, dopo un po’, tutta quella vista decisamente fastidiosa, soprattutto per una persona sensibile alla troppa luce solare. Nonostante questo, una figura longilinea, intabarrata dalla testa ai piedi in uno spesso mantello grezzo di stoffa marrone, passava le giornate seduta su un picco roccioso poco più largo di una sedia, alto quanto un edificio a sei piani; la vista da lassù era mozzafiato, le vertigini avrebbero scosso anche lo scalatore più navigato. Eppure, quella figura rimaneva lassù, giornate intere, immobile e statuaria: alcuni Twi’lek, soprattutto giovani e curiosi, presero ad osservarla per i primi tempi ma poi, notato che non succedeva nulla di esaltante, se ne tornarono alle proprie case. I più anziani si dilettavano a guardare quell’alto pilastro, come se la sua presenza gli concedesse conforto: l’immobilità di quella persona veniva spezzata solo talvolta quando, con un gesto lento della mano tirava fuori una fiaschetta d’acqua; portandosela alla bocca, con estrema calma, si poteva notare che ne prendeva solo un paio di sorsi, nulla di più di quello che le serviva per sopravvivere. Di sera, quando il sole tramontava dietro al Pianoro, quella persona scendeva dalla sua posizione, andando a ripararsi sotto una tenda poco distante, costruita alla buona con ciò che gli abitanti del villaggio le avevano dato. La mattina, prima che sorgesse il sole, ecco che la figura risaliva, con un’agilità degna di nota e si posizionava seduta su quello che ormai i nativi chiamavano “il suo trono”. I giorni si susseguivano uno dietro l’altro, uno uguale all’altro, uno lento e lungo quanto l’altro... poi i giorni divennero settimane, quest’ultime mesi, fino ad arrivare allo scoccare dell’anno. La routine di quella particolare persona continuava sempre nello stesso modo, ogni giorno in cui il sole spuntasse per ardere Ryloth ancora una volta. Solo una donna del villaggio e sua figlia facevano viaggi giornalieri verso l’abitazione di quella figura, portandole cibo e acqua, i migliori che potessero trovare... non i molti sapevano chi era quell’individuo e cosa ci facesse in quel posto dimenticato dagli Dei. Un giorno era arrivata, dicevano alcuni, aveva parlato a lungo con una delle famiglie, l’unica rossa di carnagione dell’intero villaggio; aveva passato la giornata in casa loro, era stata trattata con tutti i riguardi possibili, nessuno aveva visto il suo volto ma i membri della famiglia avevano i viso rigato dalle lacrime, una volta che la tenda che faceva da porta della casa si scostò, eppure si profusero in inchini verso la persona che usciva, rimettendosi accuratamente il cappuccio. La donna prese per mano la figlia, fece un inchino ampio verso l’ospite ed entrò in casa, ancora scossa dai singhiozzi; l’uomo rimase fuori, a parlare ancora qualche minuto... non si sentiva cosa diceva, ma dai movimenti dei Lekku sembrava stesse confortando quella figura. Quando quella lasciò l’uscio della casa, si avviò verso il Pianoro, rimase qualche istante a contemplarlo e poi, senza mai riferir parola con nessuno, prese posto su quella conformazione rocciosa, dando inizio a quella strana routine che tutti gli altri reputavano “un po’ da toccati”. Così raccontano i Twi’lek che erano al villaggio quel giorno, l’arrivo dello straniero incappucciato e del feretro di Rai, la figlia di Dinek e Shiri, sorella maggiore di Lyn. Venne celebrato un funerale tipico, dando alla giovane tutti gli onori dell’antica tradizione Twi’lek, possibile anche grazie alla sovvenzione di quella persona così schiva ai contatti con altri esseri... i genitori, nonostante le pressanti domande degli altri membri del villaggio, incuriositi e –qualcuno- anche spaventato da quello straniero così diverso, non rivelarono a nessuno la sua identità, se non al consiglio degli anziani, i quali decretarono che quell’individuo sarebbe stato un onorato ospite finchè avesse voluto e qualunque sgarbo fatto ad esso sarebbe stato come farlo ad un membro del consiglio in persona. Da quella comunicazione, se pur riluttanti per non aver ancora saputo chi era, i nativi lasciarono la figura in pace e, dopo un po’ di tempo, quando la curiosità per la novità venne meno, iniziarono anche a dimenticarsene. Tutti, tranne poche persone.
La donna scese il ripido sentiero con la sicurezza di chi l’aveva fatto molte volte, con dietro trotterellante la figlia, che ancora imparava a destreggiarsi in quell’ambiente arido e per certi versi selvaggio. Passarono sotto grandi archi di pietra, scavati ed erosi dal vento fino a diventare possenti arcate di una bellezza grezza e imponente, fino ad arrivare alla tenda bianca sistemata in uno spiazzo particolarmente comodo, all’ombra e fresco anche nelle giornate più calde. Lì Shiri posò il cesto che aveva portato, tirandone fuori cibo e acqua fresca, portando via ciò che era avanzato dal giorno prima «Mamma, ha di nuovo ridotto le porzioni... ha mangiato ancora meno di ieri l’altro!» disse Lyn con un sussurro, quasi avesse paura di spezzare una sorta d’incanto insito in quel luogo. La madre scosse il capo ed uno dei Lekku gli scivolò sul braccio, che lei prontamente mosse per rimetterlo a posto «Lo vedo, mia cara, ma non possiamo farci niente. Quella povera anima si tormenta ancora per ciò che è successo un anno fa.» rispose lei con un sospiro, volgendosi verso la figlia con un sorriso dolce, ma provato dai ricordi che l’affioravano. Guardò in alto, coprendosi gli occhi con una mano per evitare il sole diretto, verso la punta del pilastro, dalla quale si poteva intravedere un lembo di stoffa marrone ondeggiare «Rai sapeva i pericoli che stava correndo, lavorando al Senato. Nelle sue ultime comunicazioni si leggeva che qualcosa la preoccupava, ma non le importava, voleva mandare i soldi guadagnati a noi, perché potessimo vivere meglio. Le ho detto più volte che noi qui al villaggio stiamo bene con quello che abbiamo, ma lei voleva darci una vita lussuosa, diceva, una vita da gran signori... non ha mai saputo apprezzare la semplicità e la bellezza di questo luogo, la mia bambina...» nel dire questo, la donna si asciugò le lacrime che, nonostante il tempo passato, ancora le rigavano il viso al pensiero del lutto subìto. Lyn si avvicinò subito e l’abbracciò forte, accarezzandole la testa per consolarla: la sorella era andata via quando lei aveva poco più di un anno, non se la ricordava per niente, per cui –e si sentiva un po’ in colpa per questo- non riusciva ad essere tanto dispiaciuta come i genitori. In fin dei conti, per lei era quasi un’estranea... invece, per quanto potesse essere assurdo, si sentiva molto più legata con quella persona in cima alla roccia. Da quando, più di un anno prima, l’aveva vista entrare in casa sua, aveva subito avuto una sensazione piacevole: le sembrava anche molto attraente, per essere un’umana. I lunghi capelli bianchi le scendevano dritti e fluidi sulla schiena, ondeggiavano appena quando lei muoveva la testa camminando o parlando, gli occhi grigi erano seri nell’occasione in cui l’aveva vista, pieni di sconforto per la notizia che stava recando, ma nonostante tutto era come se potessero vedere dentro le persone e dargli la calma. Mentre i genitori si disperavano sul corpo della sorella, Lyn era pervasa da un senso di tranquillità fuori dal comune, decisamente atipico per il momento tragico che stava vivendo; la ragazza che stava seduta nello spoglio salotto di casa sua, quel giorno, se la ricordava atletica, minuta di statura ma con dei movimenti aggraziati e precisi, sembrava essersi allenata molto... poi, quelle armi, quelle inconfondibili armi che portava legate ai fianchi, le davano un’aura di autorità a prescindere da come si presentava fisicamente. Per la piccola Twi’lek fu difficile mantenere il segreto con tutti i suoi amici che le chiedevano continuamente informazioni, avrebbe fatto colpo in pochi attimi svelando chi era l’importante ospite, ma la voce stanca di quella giovane (se la ricordava anche troppo bene... l’unico particolare che stonava con tutto l’insieme, un tono trascinato, come se le parole faticassero ad essere espresse) che chiedeva quasi asilo e un po’ di tranquillità la fece rimanere salda nella convinzione di non raccontare nessun dettaglio. Ad imitare la madre, Lyn guardò in alto, afferrando con lo sguardo il lembo di stoffa lambito dal vento... poi chiuse gli occhi. Non sapeva perché lo stava facendo, ma sentì l’esigenza di annullare per qualche istante la sua vista: prese un respiro profondo e... lo sentì. Per un attimo, percepì qualcosa di... non suo. Vide un volto dai tratti abbastanza morbidi, occhi azzurri e capelli biondi avvolti in una lunga coda di cavallo, una ragazza che sorrideva mentre le offriva un dolce, con alle spalle la veduta di un cielo sconosciuto. La Twi’lek aprì gli occhi di scatto, tremando lievemente si scostò all’indietro quasi a voler allontanare anche fisicamente quella sensazione: la madre non aveva notato nulla, era intenta a sistemare la spartana tenda lì dietro, comunque tenuta sempre in perfetto ordine. Ma cos’era successo? Il cuore le martellava veloce ed era sudata. Alzò di nuovo lo sguardo verso la cima del pinnacolo e continuò a vedere la stoffa svolazzante: questo la rassicurò, non sapeva perché, ma era più tranquilla. Fece un respiro profondo e tornò dalla madre, che ormai aveva finito e stava tornando al villaggio. Nel frattempo, dall’oscurità del cappuccio calcato sul capo, due occhi grigi e penetranti s’aprirono di scatto, interrompendo per la prima volta dopo tanto tempo la meditazione giornaliera, per andarsi a posare stupiti sulla piccola nativa che saltellava verso la casa.
Il giorno dopo, il piccolo Kerrh’ta fu il primo ad accorgersi della novità: indicando con il piccolo ditino verso l’alta roccia sul Pianoro, fece notare a tutti la mancanza di quella figura. La maggior parte delle persone non ci fece troppo caso, ma gli anziani del consiglio mandarono a chiamare la famiglia che aveva mantenuto i contatti con l’ospite, per inviarli a chiedere a loro volta se in qualche modo l’avevano offesa, facendole interrompere qualunque cosa stesse facendo. Lyn a sentire quelle parole deglutì a vuoto: non sapeva perché, ma si sentiva responsabile. Decise di sgattaiolare fuori dalla Capanna Centrale mentre tutti gli altri erano intenti a parlare di quali doni portare all’ospite per riacquistare la sua fiducia: nessuno la notò, era brava a divincolarsi dalla questioni ufficiali che l’annoiavano; con fare vago girò per il villaggio, non si diresse subito alla sentiero che portava dalla giovane umana, ma fece un percorso un po’ più ampio per non destare sospetti: l’andare a portare rifornimenti era concesso solo una volta al giorno, sotto specifiche richieste della donna lì accampata. Una volta lontano da sguardi indiscreti, Lyn prese a correre per recuperare il tempo perso e raggiungere il prima possibile la tenda bianca sullo spiazzo ombroso: doveva chiederle scusa, non sapeva perché, ma non voleva che il villaggio fosse disonorato per colpa sua. La discesa era molto più semplice della salita, arrivò sul posto in pochi minuti, un po’ correndo e un po’ scivolando; poi la vide: era seduta a terra, teneva ancora il mantello ben calato sulla testa ma aperto sul davanti, così si poteva vedere che era a gambe incrociate e le mani poste sulle ginocchia. Prima che la Twi’lek potesse dire qualcosa, fu l’altra a parlare «Salve. Tu sei Lyn, giusto? Mi ricordo di te» aveva una voce estremamente calma, molto meno stanca dell’ultima volta, piacevole da sentire. La piccola si affrettò a scuotere la testa in cenno di assenso «Sì signora... signorina... ehm...» Lyn inciampò nelle parole, non si era accorta di quanto l’emozionava parlare con una del suo calibro. L’altra non si scompose, ma fece scivolare un po’ il cappuccio sulla testa, in modo da rivelare il volto: non era più bianco pallido come l’anno prima, aveva acquistato un po’ di colore, ma si vedeva che non era naturale per la carnagione. Il volto era sottile, lievemente provato dalla ristrettezza volontaria di cibo ma non denutrito; la bocca s’inarcava in un sorriso tenue, appena accennato, eppure molto rassicurante. La Twi’lek si sentì improvvisamente tranquilla, come se parlare con quella persona fosse la cosa più naturale di tutte: si avvicinò di qualche passo e si sedette nella sua stessa posizione, poco distante da dov’era l’umana «Riesci a ricordare chi sono io?» domandò all’improvviso la donna, tanto inaspettatamente in quel silenzio che la piccola sussultò un poco, prima di riprendere compostezza e rispondere «Sì, siete l’umana Jedi che ha riportato il corpo di mia sorella.» disse con voce ferma. L’altra inarcò lievemente un sopracciglio «Quasi corretto. Sono una Jedi, ho avuto il dispiacere di dover portarvi la notizia della morte di tua sorella ma non sono un’umana... sono una echani, una sottorazza degli umani. Siamo più predisposti alle arti atletiche come quelle marziali e possediamo un colorito di occhi e capelli particolari, come puoi vedere. Abbiamo anche la pelle abbastanza chiara, ma la mia permanenza qui l’ha un po’ alterata» spiegò infine l’uma... no, si corresse Lyn, l’echana. La Jedi. «Posso chiedervi il vostro nome, signorina Jedi?» chiese Lyn lentamente, sperando di non essere sfacciata, dopo qualche istante di silenzio «Più che giusto, visto che io conosco il tuo. Il mio nome è Lilith. Lilith Alastir.» iniziò a dire lei, rispondendo alla piccola per poi proseguire con un discorso ben più serio «Sai, quando più o meno un anno fa sono giunta al tuo villaggio, era per compiere un onere che mi sono accollata dopo una pesante decisione che ho dovuto prendere. Ho dovuto decidere tra salvare una vita o salvarne molte. Avrei preferito che la vita da sacrificare fosse la mia, non avrei avuto esitazioni, ma purtroppo così non è stato e tua sorella è morta. Con le informazioni che ho recuperato in quell’occasione, il mio Ordine ha ricavato un gran bene per una moltitudine di persone ma la consapevolezza di aver lasciato morire una persona che era sì invischiata in un gioco troppo grande per lei, ma poiché era comandata da menti ben più crudeli, non mi ha lasciato tregua.» Lilith prese un respiro profondo: aveva la voce dolce, ma un po’ roca, evidentemente per via del fatto che era molto tempo che non parlava con qualcuno. «Gli Jedi devono imparare a tenere a freno le loro emozioni, solo così possiamo entrare in connessione con la Forza e percepirla scorrere dentro di noi. Io, però, dopo quella missione non sono più potuta essere in pace con me stessa ed ho gradualmente sentito la mia percezione della Forza andare scemando: ecco perché ho chiesto di poter rimanere qui. In tutto questo tempo ho meditato di giorno e mi sono allenata di notte, praticando le arti marziali sacre del mio popolo, nella speranza che un giorno sarei riuscita a ritornare legata alla Forza come lo ero in passato e così poter riprendere la via dello Jedi con i miei fratelli e sorelle al Tempio.» Lyn cominciava a chiedersi perché quella donna le stesse raccontando i fatti suoi, in poche parole, ma non le sembrò cortese interromperla. «Forse ti starai chiedendo perché ti rendo partecipe di queste mie azioni. La motivazione la sai anche tu, se ascolti il tuo animo. Ieri, tu hai visto qualcosa, non è vero? Qualcosa che non ti apparteneva» disse quasi con un sussurro, sporgendosi un po’ verso la bambina che si portò le mani alla bocca, iniziando a tremare «Non... non volevo, mi dispiace! Io non... non so chi fosse quella giovane bionda con la coda, lo giuro!» le lacrime cominciarono a sgorgargli dagli occhi: sentiva di aver fatto una cosa molto sbagliata, ma non era colpa sua, non l’aveva voluto lei! La Jedi le mise una mano sulla spalla e le battè qualche colpetto sulla schiena, facendole cenno di calmarsi «Tranquilla, non ti preoccupare» replicò sorridendo, questa volta più ampiamente e di cuore «Hai semplicemente visto un mio ricordo. Mentre sono in meditazione espando la mia percezione quanto più possibile, facendo fluire dentro di me la Forza come fosse un fiume, sentendomi inondare ed entrando in connessione con essa. Così talvolta, mentre sono immersa nei miei pensieri e riflessioni, mi giungono le visioni date dalla Forza stessa... ma può essere che, se un altro Sensitivo è vicino a me, percepisca qualcosa di ciò su cui sto meditando.» si fermò un attimo in modo che le parole dette sortissero l’effetto voluto su Lyn, cosa che non impiegò molto a succedere. Gli occhi azzurri della bambina, splendidi in contrasto con la pelle rossa, ancora lucidi per il pianto si spostarono sul volto dell’echani, rimanendo fissi ed esterrefatti «Io... cosa? No, ci dev’essere un errore!» esclamò scattando in piedi ed allontanandosi, come se la Jedi avesse una malattia contagiosa da cui non volesse essere attaccata. Lilith rimase ferma, tranquilla, mantenendo il sorriso: ancora una volta, la Twi’lek si sentì pervadere da un senso di pace che la fece calmare e risedere, per analizzare meglio la situazione «Non ti è mai capitato di... fare qualcosa in più degli altri? Avere una “sensazione” improvvisa, che ti ha fatto spostare da un punto in cui, subito dopo, è caduta una grossa pietra, magari? O il voler fortemente un oggetto che poi, non ti ricordi bene come, ti sei ritrovata in mano?» domandò con un leggero tono d’apprensione nella voce. Lyn si mise a pensa, ripercorse nella sua mente i momenti del suo breve passato... e dovette riscontrare delle somiglianze a ciò che aveva detto la Jedi. Annuì con un cenno del capo, iniziando a rendersi conto della situazione, venne scossa da un brivido che le percorse la schiena, ma niente di più: la presenza dell’altra le donava molta più quiete di quanto si sarebbe potuta immaginare. Lilith, per la prima volta dopo tanto tempo, rise. Rise di gusto, con allegria e spensieratezza, come se tutto avesse acquistato un senso, finalmente. La bambina la osservò stupita e lei si affrettò a spiegare «Vedi, mia cara, la Forza non fa mai nulla se non ha uno scopo. Bisogna solo trovarlo. Io dovevo venire da voi, per trovare te... solo che ci ho messo più tempo del previsto... non ti ho percepita subito perché il mio animo turbinava di pensieri contrastanti e mi rendevano inquieta» Lyn la interruppe, parlando prima di rendersi conto di farlo «Magari doveva venire qui per riappacificarsi con sé stessa... e facendo quello, ha trovato me ed un motivo per tornare a casa» la Cavaliere lì davanti rimase sorpresa tanto quanto la Twi’lek nell’udire quelle parole, ma sorrise dolcemente e fece cenno affermativo con la testa «Hai ragione. Sei una ragazzina intelligente e sveglia, hai già compreso, forse perché nel tuo profondo lo hai sempre saputo, qual è la via da prendere, ma te lo voglio chiedere lo stesso: Lyn, vorresti venire con me al Tempio di Coruscant per venire addestrata nelle arti Jedi? Il cammino è lungo e complesso, potrebbe essere anche doloroso come hai visto con me (spero tu non sia così sfortunata), ma metterai al servizio della Galassia le tue capacità, per difendere la pace e tutto ciò che c’è di giusto. Dovrai lasciare la tua famiglia ed allenarti molto... e dovrai sempre ricordarti che non c'è emozione, c'è pace. Non c'è ignoranza, c'è conoscenza. Non c'è passione, c'è serenità. Non c'è morte, c'è la Forza. Questo è il Codice Jedi.» Lilith concluse ciò che aveva da dire, sentendo rinascere dentro di sé una speranza nuova, eppure ben conosciuta, un tocco leggero che la metteva in connessione con tutte le creature intorno a lei, dalla pianta grassa alla lucertola alla piccola Twi’lek lì vicino: aveva ritrovato la sua armonia.
Lyn aspettò qualche secondo, rendendosi conto di quanto importante sarebbe stata quella decisione, ma alla fine prese la sua posizione e guardò con fermamente l’echana negli occhi «Non voglio che ad altre persone succeda quello che è successo a mia sorella. Voglio poter fare qualcosa per proteggerle, anche per il mio popolo che spesso vive in schiavitù. Portatemi dove io possa essere utile, signorina» replicò con un lieve tremore nella voce, era pur sempre scossa da una notizia così grande. La sua vita sarebbe cambiata completamente da quel momento in poi, i suoi genitori l’avrebbero fatta andare, dopo aver perso Rai? Lilith si alzò e tese la mano alla bambina, che la strinse dopo poco; insieme si incamminarono verso il villaggio, per dare la notizia a tutti e spiegare alla famiglia Twi’lek l’opportunità che si presentava a Lyn. Non sarebbe stato facile convincerli a lasciar andare un’altra figlia, per di più molto piccola... ma alla fine avrebbero desistito vedendola così sicura e decisa ad intraprendere quel cammino. Lilith avrebbe fatto ritorno a Coruscant ed al Tempio dopo più di un anno di assenza, in cui non aveva fatto pervenire messaggi: il suo Maestro doveva aver compreso la motivazione di quell’allontanamento, sperava solo che non si fosse infastidito del muro silenzioso che aveva eretto, ma le serviva pace e tranquillità per recuperare la connessione profonda con la Forza che aveva sempre avuto.
Ma in quel momento, mentre le due proseguivano sul ripido sentiero secco e riarso, con il sole dietro di loro che continuava a splendere acceso nel cielo, proiettando le loro ombre lunghe davanti a loro, Lilith pensava solo a percepire il circondario con la rinata armonia con la Forza; senza preoccuparsi troppo del futuro, lasciò il picco desolato su cui aveva passato tanto tempo in meditazione, voltò le spalle ai turbini di sabbia e alle distese ardenti: ora aveva un motivo per tornare al Tempio. A casa. |
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